Una piccola azienda milanese che resiste dentro un quartiere ormai residenziale, ultimo avamposto dell’ex area industriale di Turro, su viale Monza, dove tutti gli altri capannoni sono stati trasformati in loft. È la storia emblematica di Elettrotec resa possibile dalla transizione da officina meccanica a gruppo meccatronico.

Più che uno stabilimento di produzione sembra un laboratorio, dove i cobot lavorano sulla linea e tecnici, per lo più giovani, li controllano via tablet. Spiega la Ceo Adriana Sartor: «Mi è capitato di visitare a Boston i laboratori del MIT e una serie di aziende con saloni praticamente deserti, cobot che fanno il lavoro ripetitivo e per ogni gruppo di macchine un’isola con ingegneri e tecnici in camice che fanno report, mentre la linea va avanti in modo automatico. Questo è il futuro. Di più, questo è il presente». E se lo è per una piccola azienda che da oltre 40 anni si occupa di dispositivi per il controllo dei fluidi applicati alle macchine industriali e ha chiuso il 2019 con un fatturato di 5,5 milioni di euro, è evidente che si tratti di un passaggio obbligato per tutta la meccanica, che, dice Sartor: «Dovrebbe trovare i sindacati ancor più partecipi di quanto non facciano oggi, attorno a strategie lungimiranti che puntino sulla formazione e sul reskilling degli operai adulti già presenti sulle linee. Questo tempo ha cambiamenti in accelerazione: tra un passaggio e l’altro ci sono forse cinque anni, chi si ferma è perduto.»

Adriana Sartor, Ceo Elettrotec

Una evoluzione in direzione meccatronica quella di Elettrotec che ha attraversato due crisi: una familiare, nel 2009; poi nel 2011, quando l’azienda aveva già dato via alla sua trasformazione con l’attacco terroristico alle Torri gemelle di New York.

Tornando al 2009, la Ceo racconta: «Mi sono trovata all’improvviso a dover decidere tutto io, quando mio marito è venuto a mancare. Dopo una carriera in 3M, Montedison e Siemens, ero già entrata in azienda dopo aver “patteggiato” un Master in Bocconi e mi occupavo di amministrazione. Ma non sapevo nulla di mercato e produzioni

Anno 2011: inizia l’avventura meccatronica

Nel 2011, poi, Sartor, prese con decisione in mano le redini, scopre che la produzione era demandata a terzisti e le vendite erano in mano a distributori esterni. «Allora ho fatto due cose: mi sono affiancata a un direttore generale, un ingegnere meccanico perché mi mancavano competenze tecniche; e poi ho fatto tutto il necessario per conoscere il mercato. Dunque, ho ridotto i distributori e ho assunto agenti e venditori, organizzando una rete commerciale interna. Nel frattempo mi sono resa conto che anche il sistema dei terzisti faceva acqua da tutte le parti e allora ho deciso di portare anche la produzione all’interno, il che ha comportato un periodo durissimo, siamo attorno al 2011, in cui dovevo pagare sia i terzisti sia la ristrutturazione delle linee di produzione.»

Ma è proprio in questo faticoso passaggio, che si completerà nel 2016 con l’automazione dello stabilimento, che avviene la transizione verso la meccatronica. «La scelta davvero vincente è stata quella di introdurre automazione: a partire dalla prima macchina automatica per il montaggio che ci ha consentito di passare dalla sera alla mattina da una produzione di mille a 3mila pezzi, riducendo anche il personale sulla linea che è stato ricollocato e adibito ad altre funzioni. I cobot di cui disponiamo sono di fatto braccia meccaniche che servono per posaggi, assemblaggi e saldature. Il cobot è fantastico perché libera l’operaio da un lavoro deprimente che nessuno è in grado di fare a lungo senza perdere la testa. Il cobot fa il lavoro sporco e allo stesso tempo necessita di un monitoraggio umano. Con un tablet, soprattutto i più giovani, lo gestiscono con una facilità estrema e vedo grande passione per questo nuovo genere di lavoro. Una rivoluzione che renderà sempre meno richieste figure come tornitori e montatori, e sempre più farà emergere un mondo di giovani tecnologicamente avanzati alla ricerca di opportunità per applicare i propri skill e, con essi, crescere. Non è un caso se nel mese di gennaio abbiamo assunto quattro under 25.»

Non solo cobot: la centralità dell’internazionalizzazione

Nel frattempo, in questi anni, è stata potenziata anche l’internazionalizzazione: Sartor ha ristrutturato uno showroom a Shanghai presente dal 1999, tramutandolo in una Trading company nel 2015; ma già nel 2014 ha aperto in Usa il primo ufficio a Manhattan, per poi fare il bis l’anno successivo nel New Jersey.

E per non rischiare di fermarsi mentre il mondo intorno cambia a ritmi incalzanti, Sartor non adotta la strategia del just in time. Scelta che ha protetto la Elettrotec dal blocco della produzione in Cina per effetto del Coronavirus. «Abbiamo tre mesi di materiale pronto in magazzino, per questo il Coronavirus non ci fa paura. E tutti i miei dipendenti sono in stabilimento, con in dotazione l’opuscolo del ministero della Salute. Gli imprenditori devono investire se vogliono il bene della propria azienda, e devono assumersi le proprie responsabilità nel fare impresa.»

Se il tema del blocco delle fabbriche cinesi non tocca Elettrotec, grazie al suo magazzino, la Cina resta il principale mercato di sbocco per l’azienda, e il virus ha già causato una perdita di 100mila euro in vendite che sarà difficile recuperare nel corso del 2020. Ma Adriana Sartor non si scoraggia di certo.

«L’area di Hubei in quarantena è uno dei principali acquirenti e abbiamo avuto un blocco degli ordini, adesso piano piano anche nella criticità si sta ripartendo e stanno ricominciando gli ordini verso Shenzen, ordini piccoli, certo, ma è uno spiraglio. Intanto, in questa situazione si sono fatti avanti clienti russi che sono arrivati direttamente.»

In Russia la domanda dei prodotti di Elettrotec è aumentata vertiginosamente nei primi due mesi dell’anno perché i componenti della società milanese vengono usate per costruire impianti di irrigazione che servono proprio nel primo trimestre dell’anno in un inverno insolitamente mite come quello che ci siamo lasciati alle spalle. «Quello che facciamo, in sostanza, sono apparecchi di controllo per fluidi, indicatori di livello, di portata e di temperatura», spiega Sartor.

 

La gamma di prodotti Elettrotec

«In particolare, nella nostra gamma ci sono pressostati, ovvero misuratori di pressione che controllano le elettrovalvole in modo che gli impianti abbiamo livelli di pressione costante e in caso di variazione mandino alert. Ma anche indicatori di livello: se un serbatoio si riempie troppo o rimane a secco questo può creare un problema nella macchina. Anche in questo caso entra in funzione un alert che consente di far fronte al pericolo. Ancora, costruiamo indicatori di flusso che misurano la portata, e cioè la quantità di fluido che passa all’interno di una certa area nell’unità di tempo, garantendo il controllo del processo. Il materiale del flussimetro va scelto in relazione al tipo di fluido che scorre al suo interno. Si tratta di un dispositivo usato per esempio nelle torri di raffreddamento delle pale eoliche, che necessitano di un passaggio di acqua costante perché la parte che genera calore resti refrigerata. Nella nostra gamma ci sono infine misuratori di vuoto, per monitorare l’assenza di pressione e termostati, che rilevano il calore e intervengono quando supera determinate soglie: vengono impiegati, per esempio, nelle macchine agricole che hanno ventole che scambiano calore e devono avere una temperatura costante. I dispositivi di Elettrotec sono usati anche nei treni per aprire e chiudere le porte: non c’è l’elettronica perché tutto ciò che è legato a sicurezza uomo è basato sull’elettromeccanica».