Non bisogna andare in California per diventare startupper provetti, basta avere l’idea giusta e seguire delle semplici regole… Ce ne parla il professore Venanzio Arquilla, cofondatore di Narvalo, che ha dato vita alla mascherina Ffp3 meccatronica

 

Mark Zuckerberg aveva 23 anni quando ha fondato Facebook ed è solo il più famoso startupper di una generazione florida, quella dei Millenial Usa. Da Davide Karp, che ha lanciato Tumblr a 21 anni a Evan Thomas Spiegel (che ha dato vita a Snapchat a 21 anni), a Brian Joseph Chesky (che ha 26 anni quando matura l’idea dietro ad AirBnb). Storie che sembra possano accadere solo nella Silicon Valley. Ma non è così: esiste una ricetta tutta italiana per dare vita a imprese innovative di successo, alla portata anche dei ventenni nostrani. Gli ingredienti sono pochi ma vanno ben dosati: competenze solide, ambizione, una buona idea (possibilmente a base manifatturiera, che è ciò in cui da sempre il made in Italy eccelle), duro lavoro e una fitta rete di supporto, oltre a un pizzico di fortuna (che non guasta mai).

 

Ha funzionato con Narvalo, startup che nasce come spin-off del Politecnico di Milano, di cui il professore Venanzio Arquilla è co-fondatore e presidente e Ewoud Westerduin, studente olandese della scuola del Design del Polimi, l’ideatore. Narvalo si chiama come il cetaceo dei mari del nord dotato di misterioso corno che è in realtà un’antenna grazie alla quale esso è in grado di orientarsi e proteggersi. Narvalo ha nel suo focus la produzione di mascherine Ffp3, anche in versione intelligente. Per un caso oggi è un prodotto sulla cresta dell’onda e richiestissimo da un nuovo mercato legato alla sicurezza personale e collettiva, perché il business che sembra nato per il Covid, e ha alle spalle due anni di ricerca, lavoro e sviluppo e non era in nessun modo dunque legato al Covid.

Venanzio Arquilla, presidente e cofondatore di Narvalo

La genesi di Narvalo

Va premesso che l’idea nasce in un contesto propizio e anche per questo riesce velocemente a essere industrializzata. Spiega Arquilla: «La Scuola di Design del Politecnico di Milano, è la sesta al mondo e la prima tra quelle pubbliche. Ci occupiamo di ricerca in senso ampio, perché design è miglioramento della qualità della vita delle persone attraverso prodotti e servizi, non solo estetica. Nel laboratorio didattico Smart design abbiamo intrapreso un contest sul tema dello smog e tra i vari progetti sviluppati ce n’erano alcuni con focus sulla mascherina. Avendo valutato coerenti e potenzialmente i concept abbiamo facilitato il contato tra gli studenti e le imprese o produttori di tecnologie. In questo caso gli studenti sono entrati in contatto  con Bls che è un’eccellenza italiana, peraltro nata in Bovisa a poche centinaia di metri dal Campus di Design, che  ha supportato lo sviluppo dell’idea dal punto di vista tecnologico e industriale. Quando il progetto si è concretizzato, sostanzialmente a fine esame, l’idea è stata presentata a Switch to Product, il programma che valorizza soluzioni innovative, nuove tecnologie e idee d’impresa proposte da studenti, ricercatori e docenti del Politecnico di Milano offrendo loro un percorso di accelerazione di business dedicato.  Il programma è su base annuale, abbiamo partecipato alla call 2018 e siamo stati selezionati. Il periodo di incubazione in PoliHuber è stato di circa sei mesi ed è servito a formalizzare ilbusiness plan.  Nel mentre è diventata una tesi di laurea e abbiamo iniziato una collaborazione con Bls perché insieme a loro abbiamo capito le potenzialità che c’erano dietro con l’idea di farne una startup».

Lo sviluppo e la realizzazione dei primi prototipi sono stati resi possibili grazie all’intero sistema dell’innovazione Politecnica, in quanto Narvalo è stato selezionato come “talent in residence” in PoliFactory, il Maker Space e Fablab del Politecnico di Milano. «Il progetto in questo senso rappresenta un esempio ideale dell’orientamento alla Terza Missione del Politecnico di Milano, ovvero favorire lo sviluppo sociale, economico e culturale del territorio di riferimento portando innovazione utile e spendibile dalla formazione e dalla ricerca all’impresa ed al mercato».

 

Il prodotto in dettaglio 

Al centro della startup c’è dunque la produzione della Narvalo Urban Mask, la prima mascherina protettiva Ffp3 certificata, capace di interagire con l’ambiente interno ed esterno e di dialogare con lo smartphone.  Realizzata in tessuto 3D ha una cover traspirante, lavabile, idrorepellente, antistrappo e vanta un’altissima capacità filtrante: filtra il 99,9% degli agenti inquinanti oltre a virus, batteri, polveri ed odori, grazie allo strato in carbone attivo. In corsa è stata dotata anche di un tappo “anti-Covid” che, se applicato, blocca la fuoriuscita di goccioline anche durante l’espirazione: può essere facilmente rimosso quando non necessario e applicato nei luoghi affollati o dove lo impone la normativa, per assicurare protezione per se stessi e gli altri.

Accanto alla mascherina, c’è la Narvalo App che, grazie al GPS dello smartphone, è in grado di restituire un quadro molto chiaro sulla qualità dell’aria respirata durante il proprio tragitto, mostrando la differenza dell’aria che si respira con o senza la maschera. L’app è scaricabile e utilizzabile da chiunque, con l’obiettivo di fare prevenzione e sensibilizzare le persone sulla qualità dell’aria delle città in cui vivono. Per la fine dell’anno è inoltre previsto il rilascio della versione Active della maschera, ancora più tecnologica poiché equipaggiata con una valvola elettronica intelligente e dotata di sensoristica a bordo, studiata per assicurare grande traspirabilità poiché capace di massimizzare il deflusso d’aria, evitando eccessivi accumuli di calore e umidità all’interno e CO2. La maschera diventerà così un device IoT di ultima generazione che permetterà di monitorare dati come la temperatura e l’umidità in maschera nonché i pattern respiratori dell’utente, garantendo sempre più sicurezza e comfort in diversi ambiti. Dulcis in fundo, la startup sta lavorando anche guardando con attenzione all’economia circolare: obiettivo di Narvalo è infatti avviare un ciclo virtuoso per ritirare i filtri dismessi e destinarli ad usi secondari.

Ewoud Westerduin, Co-Founder di Narvalo

 

Regole per dare vita a una start-up di successo: l’apporto di un partner industriale

Per lo sviluppo della parte di filtrazione aria della mascherina è stato fondamentale il contributo di Bls, azienda italiana con sede a Cormano specializzata da oltre cinquant’anni nella produzione di dispositivi di protezione delle vie respiratorie in ambito industriale. La collaborazione con Bls è stata fondamentale. Si tratta dell’unica azienda italiana specializzata al 100% nella produzione di dispositivi di protezione delle vie respiratorie, che da 50 anni produce alle porte di Milano (a Cormano)  mascherine esportate in oltre 70 Paesi.

«La nostra mascherina di design – che emulando il Narvalo ha un becco, un’antenna sensibile, più che mai necessaria in un ambiente che sta perdendo le sue qualità naturali – nasce come dispositivo anti smog per chi vuole vivere la mobilità urbana, in bici, in scooter, a piedi in tutta sicurezza. Con l’emergenza Coronavirus, ci siamo ritrovati in un mondo nuovo in cui da produttori di un oggetto di nicchia, siamo diventati fornitori di un dispositivo must have». A gennaio Narvalo aveva realizzato una fase di test dei prototipi con 50 persone su Milano. «Bls ci aveva detto che saremmo usciti sul mercato con un prodotto eccellente. Finito il test è arrivato il Covid, il progetto riguardava urban commuter, persone che si muovono in città e percepiscono lo smog come un problema e sono preparati a usare le mascherine. Il Covid è arrivato e ci ha dato l’assist per accelerare e dare nuovo valore anche sociale al nostro progetto cambiando leggermente lo storytelling».

Porsi un obiettivo chiaro e analizzare a fondo il mercato (circondandosi di ogni competenza necessaria)

L’obiettivo era partire con la mascherina più performante possibile. «Bls ci ha consentito di ambito allo standard più alto. Narvalo ha lavorato per dare vita a un prodotto dotato di stile e vestibilità nella vita quotidiana e dall’altra lato di tecnologia avanzata Iot. C’era bisogno di monitorare alcuni parametri per dare all’utente delle informazioni specifiche perché la mascherina fosse utile e producesse benefici. Trattandosi di respiro, fenomeno per noi umani automatico ed inconsapevole, abbiamo creato una app per misurare il respiro in maniera non invasiva e far funzionare bene la maschera, al cui interno si crea un microclima caratterizzato da calore, umidità e CO2 che non è sostenibile a lungo.

E abbiamo brevettato un sistema integrato di sensori e attuatori con ventola che misurano parametri e regolano il flusso d’aria ed espellono l’aria in maniera coerente con l’attività corrente dell’utente, corsa, camminata, pedalata». L’idea da sola non basta. Anche la più brillante, per diventare impresa necessita di uno studio di fattibilità, di indagini di mercato presso gli utenti finali, di comunicazione, di storytelling, di marketing che richiedono competenze diverse e un pool di esperti a supporto.

Narvalo ha nel suo focus la produzione di mascherine Ffp3, anche in versione intelligente. Per un caso oggi è un prodotto sulla cresta dell’onda e richiestissimo da un nuovo mercato legato alla sicurezza personale e collettiva, perché il business che sembra nato per il Covid, e ha alle spalle due anni di ricerca, lavoro e sviluppo e non era in nessun modo dunque legato al Covid

 

Non basta un’App (riscoprire il prodotto industriale)

Ma l’app non era il focus, bensì solo uno strumento di supporto del progetto centrale. «È studiata per assicurare grande traspirabilità poiché capace di massimizzare il deflusso d’aria, evitando eccessivi accumuli di calore e umidità all’interno. Con lo studente, ura capo del design di Narvalo, non abbiamo mai smesso di lavorare al progetto e l’impresaosi è messa in gioco per rendere possibile questo passaggio dalla tesi alla startup, Bls si è fatta carico di tutti gli investimenti per portarlo alla produzione. Quando la startup riesce ad inserire un prodotto fisico che abilita e rende possibile il suo servizio e le diverse componenti digitali è più difendibile e noi italiani nella fisicità siamo maestri. Questa è stato un processo di apprendimento fondamentale che ci ha portato a brevettare un pezzo fisico, ma anche a ben vedere, ciò che ha attirato Bls. L’asset fisico ci consente di avere una connotazione coerente ai bisogni dell’utente. Questa è una caratteristica fondamentale del successo del Made in Italy: dobbiamo tornare a fare prodotti, innovandoli non solo nell’estetica, ma anche tecnologici e facili da usare».

 

Il ruolo dell’accademia e il collegamento con l’industria (l’importanza del network)

C’è un tema, importantissimo, di humus, che in questa storia era decisamente fertile: il Politecnico di Milano che sforna competenze e persegue con forza la “terza missione” dell’università, come abbiamo già detto. Il dipartimento di design in particolare ha una visione collegata al mercato, un tessuto industriale dove non ci sono grandi aziende che investono in maniera massiccia sulle startup, l’università deve fare comunicazione di se stessa anche all’esterno, secondo Arquilla. «In questo caso tutto ha funzionato perché il collegamento università azienda era un po’ fuori dalla normalità. L’Università deve andare più verso le aziende e gli imprenditori, anche e soprattutto quelli delle medie aziende, devono avere più attenzione e meno remore a relazionarsi con il mondo universitario. L’Università, il Politecnico di Milano in particolare, ha tante di queste storie da raccontare. Noi partiamo con approccio pragmatico: guardiamo gli utenti e generiamo idee. Quello che manca è collegamento con le pmi, che oberate dal quotidiano faticano a generare nuove opportunità di mercato che non siano di tipo incrementale. Prima di Narvalo per diversi anni mi sono occupato del trasferimento tecnologico tra pmi e giovani designer e dopo 150 progetti posso affermare che non è facile trovare aziende disponibili e aperte come Bls».

Le mascherine FFP2 di Bls

 

E infine… il tempismo

Così da lunedì 6 luglio le maschere Narvalo sono state messe in vendita. L’essere arrivati sul mercato alla fine della drammatica emergenza pandemica ha fatto sì che il potenziale acquirente si trovasse di fronte un oggetto ormai familiare. «La business idea è risultata vincente anche perché nel frattempo il Covid aveva dimostrato con i fatti il valore di indossare una mascherina, che è qualcosa che non appartiene alla nostra cultura occidentale. Se la avessimo presentata a gennaio ci avrebbero probabilmente guardato male. Noi ci abbiamo creduto prima e oggi siamo in grado di offrire una mascherina che è anche un sofisticato oggetto IoT. Il giusto tempismo è stata fortuna, ma più importante è l’impegno. Ai giovani bisogna dirlo con chiarezza: non basta usare un modellatore e una stampa 3D per diventare milionari e diventare milionari non deve essere l’obiettivo, semmai un effetto collaterale di un percorso complesso, fare innovazione è conoscere l’utente e costruire prodotti e servizi dotati di senso, distintivi e desiderabili, questo si ottiene con passione, cultura, network e lavoro, tanto lavoro», conclude Arquilla.